Le emozioni sono molto importanti nella nostra vita. Darwin, nel 1859 pubblica il libro “L’Origine della specie”[1] nel quale sostiene che le emozioni ci servono per sopravvivere. Soprattutto tre emozioni – rabbia, paura, e tristezza – sono funzionali alla sopravvivenza, perché intervengono in momenti critici e ci fanno rispondere prontamente alle situazioni. Ad esempio, la rabbia è un motore potentissimo per andare avanti in situazioni difficili come la prevaricazione da parte di un altro essere umano. In questo senso Darwin afferma che le emozioni sono utili, che esse svolgono una funzione. Noi siamo orientati alla sopravvivenza, poi, come esseri umani, siamo orientati anche alla vita piena, ma questa non è possibile senza la sopravvivenza. Le emozioni, anche quelle più scomode, perfino la tristezza e il dolore, ci aiutano. Ad esempio, quando lascio qualcuno, qualcosa o termina un’esperienza significativa, la tristezza che nasce dalla separazione mi serve per elaborare la perdita e per operare il distacco. Spesso noi cerchiamo di evitarle, perché sono scomode; la rabbia, per esempio, ci porta all’azione, ci porta ad andare avanti, ma potrebbe portarci anche ad attivare dei comportamenti antisociali. Diciamo cose spiacevoli, feriamo gli altri e noi stessi, con conseguenze importanti. Nessuno vuole starci vicino quando siamo arrabbiati.
Una persona che ha acquisito competenze relative alla gestione del conflitto e, a maggior ragione un mediatore, non scappa dinanzi all’espressione della rabbia; sa che essa ha un senso per la persona.
Il lavoro del mediatore inizia dove le persone si fermano, dove gli altri se ne vanno. Il mediatore sta nella rabbia, non la teme e si chiede “Che cosa c’è dietro la rabbia che sta provando questa persona? Che senso ha per lei/lui?”. Le emozioni hanno un senso: un senso generale e un senso specifico per la persona che le sta sentendo.
Intorno agli anni ‘50 del secolo scorso, Paul MacLean[2]ha elaborato la teoria del sistema limbico come cervello emozionale preposto alla sopravvivenza e retaggio della nostra parte animale. Esso è il “cervello rettiliano” che sostiene funzioni basilari per l’essere umano: attacco e fuga dinanzi ai pericoli, nutrimento e sessualità, difesa del territorio. A fianco a questa funzione del cervello, ne operano delle altre, quali il “cervello limbico” in cui le emozioni (paura e rabbia), svolgono un ruolo adattivo importante per la sopravvivenza. Infine, da un punto di vista evolutivo, si costituisce il “cervello neocorticale” deputato a gestire funzioni complesse quali il pensiero e il linguaggio (la parte razionale del nostro cervello).
Joseph LeDoux[3] negli anni ottanta del secolo scorso, ha studiato il collegamento fra amigdala (la parte antica del nostro cervello, sede delle nostre emozioni) e la neocorteccia, ubicata dietro i lobi prefrontali (deputata al controllo emotivo)
I suoi studi sui circuiti cerebrali della paura ci parlano di una “strada bassa”, come risposta immediata dell’organismo a situazioni di emergenza. Essa prevede un circuito breve: stimolo emotivo – talamo sensoriale – amigdala – risposta emotiva. Si tratta di una risposta immediata e inconscia, che ci permette di metterci in salvo, di reagire fisicamente, ad esempio, congelandoci o scappando dinanzi a un serpente, prima ancora di aver capito consapevolmente, se si tratta davvero di un serpente o di un oggetto che gli assomigli. In questo senso tale risposta può essere erronea (appunto, comprendiamo che non si tratta di un serpente ma di un ramoscello), ma viene, comunque, attivata. La prima risposta emotiva accade in millesimi di secondo (circa 12 millesimi di secondo, secondo lo studioso). Contemporaneamente parte anche la risposta più “lenta” (circa 24 millesimi di secondo) e complessa del nostro cervello, che afferisce alla neocorteccia e ci permette di valutare le informazioni e organizzare meglio la nostra risposta allo stimolo. È la cosiddetta “strada alta”: stimolo emotivo – talamo sensoriale – corteccia sensoriale – amigdala – risposta emotiva. Le emozioni (muovere da) ci spingono ad agire in situazioni di urgenza. Il passaggio alla corteccia permette una valutazione più appropriata della situazione e di correggere il tiro, anche se ci vuole un po’ di tempo in quanto l’attivazione psicofisica (la risposta neurofisiologica) è già partita.
Le emozioni a tinte forti, come la paura, ci permettono di attivare prontamente una risposta alle situazioni critiche ed improvvise che la vita ci pone. Tali reazioni ci mettono in salvo, ma è importante che esse siano integrate con la risposta più complessa del cervello, quella in cui valutiamo più attentamente gli eventi della vita, per comprendere se sono davvero una minaccia per la nostra sopravvivenza oppure no. Alle volte, infatti, la nostra risposta risulta inadeguata e spropositata rispetto allo stimolo e potrebbe accadere quello che Goleman definisce “dirottamento emotivo”[4].
Nel secondo processo (quello della strada alta), arriviamo ad una consapevolezza emotiva, che per LeDoux è il “sentimento[5]” di quello che sto provando che è dato dall’intreccio fra la rappresentazione della valutazione dello stimolo nella strada più lunga, (amigdala-corteccia), la rappresentazione delle valutazioni degli stimoli pregressi (esperienze passate) e la rappresentazione del sé.
Mentre, negli anni novanta del secolo scorso, gli studi di Lane sulle attivazioni neuronali nella corteccia cingolata anteriorevalidano questa intuizione sulla consapevolezza emotiva, Damasio percorre questa strada fino in fondo, presentando una distinzione fra emozione e sentimento[6]. Le emozioni sono un insieme di risposte chimiche e neuronali che formano uno schema e alterano l’organismo rispetto allo stato precedente la loro insorgenza. Tale schema è definito “stato delle emozioni”, si attiva in maniera, per lo più, inconscia e produce risposte che passano al di sotto della rappresentazione conscia, motivo per cui diventa difficile il controllo delle emozioni attraverso l’esercizio della volontà.
Alcune parti delle emozioni sono osservabili dall’esterno (cambiamento del colorito del viso, espressioni facciali, postura del corpo) ed essendo attivate automaticamente nel rapporto cervello-corpo, è difficile dissimularle completamente (posso dissimulare alcune manifestazioni delle emozioni, ma non posso bloccare il cambiamento nelle viscere e nella parte interna dell’organismo).
L’emozione, dunque, è qualcosa che accade all’interno del nostro organismo e che ha componenti che si manifestano pubblicamente (e-movere, muovere verso l’esterno).
Sentire un’emozione consiste nell’avere immagini mentali che nascono dagli schemi neurali che rappresentano le variazioni nel corpo e nel cervello che costituiscono un’emozione[7].
Il sentimento è l’esperienza mentale privata di un’emozione[8], l’essere consapevoli dell’attivazione emotiva ed è successivo all’emozione. Ha a che fare con la percezione di un Sé che sente.
Essere consapevoli di provare un sentimento, è un processo rappresentativo più complesso che risente dell’esperienza pregressa. Ogni esperienza lascia in noi delle tracce (consce o inconsce) che richiamano emozioni o sentimenti con connotazioni positive o negative.
Damasio chiama queste tracce “marcatori somatici” perché riguarda il vissuto corporeo a cui è stata ancorata un’etichetta (un significato positivo o negativo per il soggetto).[9]
Cosa hanno a che fare questi concetti con la gestione dei conflitti e la mediazione? Essi ci permettono di capire che le emozioni sono risposte naturali a degli stimoli e che hanno una funzione importante, ci servono, a patto di capirne il senso. Sapere che è difficile controllarle, potrebbe metterci in pace rispetto a tutte le attivazioni che abbiamo vissuto e in cui ci siamo sentiti inadeguati per la loro manifestazione. Ma, soprattutto, ci servono in quella ricerca di senso che ruota intorno a domande riflessive importanti: perché mi sono comportato così, quando ho provato quel sentimento?
La mediazione offre uno spazio e un tempo all’elaborazione degli eventi e all’espressione dei “sentimenti” (nell’accezione di Damasio) ad essi collegati. La percezione che molte persone hanno della loro vita è di una lotta continua per la sopravvivenza, che esplode nei momenti di conflitto. Le risposte che vengono date nell’interazione quotidiana con gli altri (partner, figli, vicini, colleghi) sembrano percorrere “strade basse”, con reazioni inconsapevoli e spesso distruttive per le relazioni. Darsi una tregua e aprire uno spazio di riflessione può aiutare a comprendere i meccanismi alla base dei propri comportamenti, non in termini scientifici, ma in termini di bisogni ed emozioni (così le chiamiamo in mediazione). Senza questa lettura, che a volte è difficile fare da soli, perché si è coinvolti emotivamente nella situazione, si corre il rischio di perpetuare all’infinito comportamenti e dinamiche inefficaci, senza riuscire a saltar fuori dal dolore.
[1] Charles Darwin, L’origine della specie, Bollati Boringhieri, Torino, 2012.
[2] Paul MacLean, Evoluzione del cervello e del comportamento umano, Einaudi, Torino, 1984.
[3] Joseph LeDoux, Il cervello emotivo. Alle origini delle emozioni, Baldini e Castoldi, Milano, 2014.
[4] Daniel Goleman, Intelligenza emotiva, Rizzoli, Milano 2011.
[5] Joseph LeDoux, Il cervello emotivo. Alle origini delle emozioni, Baldini e Castoldi, Milano, 2014.
[6] Antonio R. Damasio A., L’ errore di Cartesio: emozione, ragione e cervello umano, Adelphi, Milano, 1994.
[7] Ibidem.
[8] Luisa Mingazzini, La sorgente delle emozioni, Morlacchi, Perugia, 2006.
[9] Antonio Damasio, The soamtic marker hypotesis and possible functions of the prefrontal cortex, in Philosophical Transactions of the Royal Society of London (Biology), 1996.