“Parlare è un modo di esprimere sé stesso agli altri. Ascoltare è un modo di accogliere gli altri in sé stessi.”
(Wen Ztu – testo taoista).
L’ascolto è una preziosa competenza che fa davvero la differenza nelle relazioni interpersonali. In questo punto nevralgico dell’ascolto dell’altro si incrociano vari approcci metodologici, dalla Comunicazione Non Violenta di Rosenberg e Patfoort, alle riflessioni di Gordon sulle barriere comunicative, agli studi della PNL sulla comunicazione efficace, fino alla comprensione empatica di cui parla Rogers. Tali approcci integrano e arricchiscono la proposta della mediazione umanistica di J. Morineau. Non si tratta di un insieme di tecniche, ma di metodologie sperimentate sul campo, che intessute fra di loro, danno vita a una delle esperienze più belle e calorose che un essere umano possa provare: sentirsi ascoltati. Sì, perché quando ci sentiamo ascoltati davvero, quando ci sentiamo compresi nell’intimo, ci sentiamo a casa. Ha lo stesso calore di un abbraccio. Molti di noi nella vita si sentono degli “ufo”, atterrati sulla terra ma incapaci di esprimere il proprio mondo interiore, soprattutto quando intorno non giungono segnali di ricezione. Quando ci fermiamo e ci ascoltiamo, ovvero quando ascoltiamo noi stessi e gli altri, quando qualcuno ci ascolta con attenzione, con amore, con empatia, qualcosa cambia. L’ascolto ha il potere di liberarci dalle catene mentali in cui ci andiamo a imbrigliare. L’ascolto ha la bellezza di far emergere i nostri vissuti emotivi, le nostre ferite, i nostri desideri. Un buon ascolto ci mette contemporaneamente in contatto con noi stessi e con l’altro, creando un legame profondo, perché autentico. Non si può vivere sempre con delle maschere sociali, temendo di comunicare agli altri i nostri sentimenti e bisogni. Ci vogliono dei momenti in cui aprirsi e lasciarsi andare. Ma non basta lo “sfogo”, occorre qualcosa in più. È una specifica competenza di cui noi esseri umani siamo tutti dotati, ma che va sviluppata, implementata, fatta fiorire, per diventare strumento di lavoro e dono ricchissimo nelle relazioni con gli altri. Stiamo parlando dell’ascolto empatico, della specifica capacità di individuare le emozioni e i bisogni dell’altro, di nominarli e mostrarli all’altro, affinché possa guardarsi allo specchio e cogliere delle parti di sé, riconoscersi. L’ascolto empatico passa attraverso un ascolto attivo, un interesse, un’attenzione viva nei confronti dell’altro, in cui l’altro viene visto. Sentirsi ascoltati è anche sentirsi visti. È un fenomeno complesso e semplice, in cui da un lato qualcuno parla e parlando si manifesta, esiste, libera il proprio mondo insieme a un altro, l’ascoltatore attivo ed empatico, che entra in connessione con lui, lo guarda senza giudicarlo, lo comprende e lo aiuta a nominare le cose di dentro, a vederle, a dargli un posto, una dignità.
Il benessere di una persona, secondo l’approccio della Mediazione Umanistica Integrata (la pratica di mediazione da affinata) è dato dalla possibilità di esprimersi. Tutte le volte in cui noi ci esprimiamo, verbalmente o facendo qualcosa che a noi piace, che ci corrisponde, proviamo benessere. Quando andiamo in palestra, cuciniamo, andiamo a correre, facciamo un corso di danza o stiamo piacevolmente in compagnia di un amico, tutte le volte che esprimiamo delle parti di noi (bisogni, emozioni, valori, visioni) stiamo bene. Portiamo nella vita e agli altri qualcosa di noi. L’essere umano è fatto per esprimersi!
Quando ascoltiamo portiamo qualcosa dentro. L’ascolto, infatti, richiede una sospensione. Per offrire un ascolto empatico non può esserci fretta, all’ascolto si dedica tempo. L’ascolto ci costringe ad aprire una parentesi nella quotidianità e a dedicare un tempo a noi e all’altro. Quando si inizia ad ascoltarsi e ad ascoltare, cambia la vita. Non sempre possiamo attivare questo tipo di ascolto, ma se manca e le cose corrono troppo velocemente ce ne accorgiamo. Paghiamo un prezzo a noi stessi e alle nostre relazioni.
L’ascolto attento, dunque, è una scelta; non sempre si può ascoltare l’altro con gli strumenti e le modalità più adeguate. Quando ci troviamo in una posizione di mediazione o di consulenza o nel momento in cui scegliamo di attivare un ascolto c’è una decisione, una volontà, e c’è anche un desiderio, una curiosità, un interesse genuino verso l’altro. Per ascoltare empaticamente devo amare un po’ gli altri, volermi prendere cura di loro, avere questo desiderio di andare verso. Serve un po’ di passione per l’altro, altrimenti non si riesce ad offrire un ascolto pieno, perché l’ascolto è, propriamente, una capacità di decentramento, è una dimensione complessa in cui io sono presente, ma la mia presenza è un dono per l’altro.
Se sto parlando e l’altro evapora, io me ne accorgo e metto un muro, ovvero finisce l’ascolto. Perché se tu non ci sei, non sei qui con me, io mi chiudo. Tutte le volte che noi ci chiudiamo è perché abbiamo percepito che l’altro non c’era, non ci stava davvero ascoltando. Nel momento in cui noi stiamo provando a esprimere delle cose, che magari per noi sono importanti, e l’altro evapora, ovvero non è con noi, non è presente a noi, perché magari si fa prendere da un pensiero o inizia a fare qualcos’altro, lo sentiamo e si interrompe la possibilità di esprimerci. Per esprimermi ho bisogno che l’altro ci sia per me e sia con me. Per questo l’ascolto è un atto di volontà ed è un dono che si fa all’altro. Anche nel momento in cui lo faccio per professione, potrei non esserci e non donarmi, per esempio perché penso ad altro, alle mie ansie e preoccupazioni. Anche in questo, soprattutto in questo caso, è importante tornare, fare una scelta. Ricordarsi che l’altro è importante ed è importante che io l’ascolti davvero: si chiama professionalità e si esprime con calore. L’ascolto termina con l’evaporazione, col fare altro mentre l’altro parla.
La cosa splendida di questa esperienza personale e professionale è che l’ascolto mi “costringe” a esserci, a essere presente, qui e ora. Finalmente uno dei mantra di questi anni diventa una cosa concreta, un comportamento che posso agire con un altro, un pezzo di relazione costruttiva, anche dentro un conflitto. Un momento in cui come persone viviamo quello di cui andiamo alla ricerca disperata: l’incontro. Sì, perché l’ascolto accade qui e ora, io sono presente e ci sono per te.